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L’anglosassone “#Security #Awareness” esprime un principio cardine di tutta la sicurezza.
Non esiste azione intrinsecamente sicura se non esiste consapevolezza della sua natura e delle sue conseguenze.
Questo è vero nel mondo industriale, professionale, ecc: è un principio evidente, intuitivo. Nessuno immaginerebbe di improvvisarsi operaio davanti ad una pressa idraulica, o chirurgo in sala operatoria, ma nemmeno agricoltore diretto alla guida di un trattore per campi accidentati. Sappiamo come andrebbe a finire.
La consapevolezza delle conseguenze è dunque il principio che arma qualsiasi presidio di sicurezza, e questo è vero anche nella vita quotidiana: pure il banale “passare con il rosso ad un semaforo” è la dimostrazione di assenza di consapevolezza da cui deriva un problema di sicurezza stradale e dunque fisica.
Gli strumenti di #Internet, che oggi sono alla portata di chiunque grazie agli #Smartphone, sono qualcosa di molto analogo ad una “pressa idraulica” o un “trattore”: possiedono dei rischi per coloro che li utilizzino inconsapevolmente. Il #Cyberspazio (Internet) non è qualcosa di completamente distaccato dal mondo reale: quando agiamo in quello spazio, siamo noi e non un #avatar ad agire (come nell’immaginazione del metaverso della fantascienza cyberpunk); siamo noi con la nostra identità, le nostre emozioni, i nostri affetti e (anche) eventualmente il nostro denaro. L’assenza di una nostra presenza materiale in quello spazio illude molti che ci sia sufficiente grado di separazione a creare una protezione dai rischi, ammesso che si pensi in termini di rischio.
Ed invece anche nel Cyberspazio si corrono analoghi, se non più significativi rischi (perché più facilmente innescabili), proprio in quel dominio dell’identità, emozioni, e misere ricchezze che dicevamo.
L’inconsapevolezza sui rischi di sicurezza che derivano dall’adozione degli strumenti del Cyberspazio può colpire chiunque; più facilmente le persone con un basso profilo di istruzione, ma certamente anche quelle persone che, pur con un alto profilo di istruzione, abbiano un basso profilo di competenze sulle tecnologie informatiche. Il problema può colpire finanche il professionista nel campo dell’informatica che non sia particolarmente preparato sulle questioni di sicurezza: anche lui può correre analoghi rischi, per sé e per il proprio ambiente (azienda, infrastruttura, ecc).
La “Cyber Security Awareness” dunque è la declinazione del medesimo principio cardine di cui parlavamo all’inizio quando portato nei temi del Cyberspazio. È una parte della più articolata #Cyber Security, che intende ovviamente trovare le forme di difesa per le informazioni che risiedono o sono in viaggio nel Cyberspazio, di cui il “proprietario” (delle informazioni) è spesso parte del problema.
Infatti, per quanti metodo e criteri a difesa di queste informazioni possano essere messe in campo, l’azione primaria per cui queste sono presenti nel Cyberspazio è legata esclusivamente alle azioni umane che decidono di introdurle e movimentarle lì. Se queste azioni sono fatte in modo inconsapevole possono essere naturalmente soggette al rischio di una azione malevola che tragga vantaggio da queste stesse informazioni (es. furto di identità, truffe, ecc).
Si parla dunque di “fattore umano”, un fattore di rischio derivante dalle azioni umane, che diviene variabile indipendente nel sistema. Le azioni che portano a conseguenze rischiose possono essere prese nella piena autonomia dell’utente del Cyberspazio, ma possono essere anche indotte dall’esterno per la debolezza del “fattore umano” ad essere convinto, ingannato, forzato a fare qualcosa. Questo avviene quando da attori di minaccia (che adoperano tecniche di ingegneria sociale) siano in grado di determinare comportamenti differenti da quanto immaginerebbe di fare un soggetto, proprio perché ingannata e sopraffatta da queste tecniche. Questa è la questione che più estende il rischio da “fattore umano”, in quanto l’inganno (se ben architettato), potrebbe riuscire a colpire chiunque, anche chi è consapevole dei rischi ma non ha strumenti per difendersi.
La consapevolezza è dunque una qualità che deve essere costantemente coltivata per tenere alto il livello della propria e altrui sicurezza.
Fata Informatica, con il suo brand CybersecurityUp, da anni è sensibile a questo tema e ha creato appositi corsi di “Cyber Security Awareness” per aiutare singoli e aziende a ridurre il “fattore umano” quale sorgente di rischio.
Troverete i corsi o notizie sugli stessi all’indirizzo https://www.cybersecurityup.it/securityawareness/csaw-aziende
In molti nostri articoli ci siamo concentrati sulla cronaca di allarmi per minacce 0-day, già visti in natura o “scampati per un pelo”.
Non passa infatti molto tempo che una nuova minaccia, una nuova campagna, una nuova vulnerabilità da sanare vengano individuate da vendor e ricercatori: diciamo è “fisiologico”.
L’elenco dei vendor alle prese con queste vulnerabilità durante una campagna in atto è nota (Microsoft, Google, Apple, Amazon, ecc), così come nota è la lista dei vendor di apparati di rete e sicurezza che vengono interessati da difetti che ne minano la funzione di base (F5, Citrix, Palo Alto e SonicWall).
Tutto vero, ma gli 0-day sono solo una parte del problema: potremmo semplicemente definirli come quella componente del sistema che periodicamente aumenta il
Ricorderete Log4Shell, la vulnerabilità più grave del decennio che ha spaventato molti vendor?
Censita con CVE-2021-44228 è stata oggetto di rapide correzioni; a volte correzioni “troppo rapide”; non è un caso che il rischio si sia ripresentato in varie forme attraverso le vulnerabilità CVE-2021-45046 e CVE-2021-45105 che affrontavano differentemente le debolezze del codice Log4j. La natura del problema evidentemente era complessa e capillare nella struttura del software da creare non pochi problemi nell’individuazione delle cause e soprattutto nella costruzione di una soluzione definitiva.
La costruzione di un correttivo “definitivo” è stato un problema per molti vendor, soprattutto per uno come Amazon che nel suo ecosistema AWS (Amazon Web Services) ha un uso
È noto come le vulnerabilità affliggano applicazioni, servizi e sistemi operativi. È noto come questi siano sottoposti a revisione continua e correzioni (patch) per diminuire o risolvere l’impatto di queste vulnerabilità. È altresì noto come, in casi di estrema necessità, solo degli attenti ed efficaci sistemi di sicurezza automatici possano divenire baluardo, mitigazione e soluzione per vulnerabilità all’interno del perimetro.
Ma cosa accade quando la vulnerabilità affligge persino gli strumenti di difesa? Ebbene, questo non è certamente un caso irrealistico (i sistemi di difesa sono pur sempre software), e nemmeno, ahimè, un caso d’accademia: è infatti cronaca recente l’individuazione di una grave vulnerabilità (CVSS 7.5) che affligge Snort, il famoso software open source per l’implementazione di un sistema IDS/IPS salito sugli altari del
Dopo Microsoft, anche un altro dei Big del mondo IT come Oracle corre pesantemente ai ripari per i guai al suo esteso parco software; faremmo prima ad elencare i prodotti non coinvolti che quelli coinvolti in questo mega aggiornamento.
Si tratta infatti di una quantità considerevole di correzioni, per relativi problemi di funzionalità e di sicurezza, questi ultimi censiti attraverso CVE che riguardano prevalentemente il 2021 e 2022, ma anche qualcosa ancora del 2019 e 2020.
Il secondo aggiornamento trimestrale rilasciato da Oracle, il Critical Patch Update (CPU) aprile 2022, porta con sé 520 patch, corregge difetti per 221 CVE, di cui “solo” 27 di natura critica (per la cui risoluzione sono state coinvolte ben 77 patch), il 14,8% dell’intera patch.
L’elenco completo e i dettagli possono essere letti nell’avviso pubblicato da
Con il bollettino di sicurezza VMSA-2022-0011 del 2022-04-06, VMWare ha focalizzato l’attenzione su alcune gravi vulnerabilità che affliggono alcuni suoi prodotti. In particolare si tratta di VMware Workspace ONE Access (Access), VMware Identity Manager (vIDM), VMware vRealize Automation (vRA), VMware Cloud Foundation, vRealize Suite Lifecycle Manager.
Ad una settimana di distanza da quel bollettino sono state pubblicate le attese correzioni (KB88099), ponendo sostanzialmente un freno a un fenomeno che stava diventando oggettivamente rischioso, viste le prime conferme sull’avvistamento “in natura” di exploit per una delle vulnerabilità descritte nel bollettino, la CVE-2022-22954, nonché un ampio fiorire su GitHub (https://github.com/search?q=CVE-2022-22954) di PoC per lo sfruttamento della stessa.
L’insieme di questa vulnerabilità e le successive CVE-2022-22955 e CVE-2022-22956 rappresentano
Benché nel contesto di un aggiornamento pianificato, il “April 2022 Security Updates”, Microsoft ha rilasciato 128 correzioni per vulnerabilità di sicurezza.
Di queste 10 sono ritenute critiche, 2 sono 0-day, tra l’altro capaci di elevazione di privilegio e già rilevati attivi e 3 consentono exploit (RCE) con capacità di propagazione (Worm) senza interazione utente.
Sono anni che Microsoft non usciva con un volume così massiccio di correzioni, per numero di bug risolti e soprattutto per superficie d’intervento: i bug infatti sono stati trovati (e corretti) in una gran parte del portafoglio software di Microsoft.
In particolare gli 0-day sono stati classificati con CVE-2022-24521 (CVSS 7.8) e CVE-2022-26904 (CVSS 7), mentre le vulnerabilità di esecuzione codice remoto (RCE) sono state
Ricercatori anonimi hanno aiutato anche questa volta Apple nel riconoscere e dunque consentire la correzione di una nuova insidiosa vulnerabilità 0-day che potrebbe consentire l’utilizzo di privilegi kernel nell’utilizzo di codice arbitrario da parte di applicazioni malevole.
Non è chiaro se la minaccia sia stata già sfruttata, ma sembrerebbe molto probabile (visto che Apple dice di avere rapporti su probabili attività di sfruttamento), pertanto l’applicazione degli aggiornamenti forniti da Cupertino è certamente urgente.
Come ormai siamo abituati a vedere, i difetti che causano le vulnerabilità nell’ecosistema Apple colpiscono esattamente nel medesimo modo macOS e iOS per la ormai forte convergenza dei due prodotti.
Naturalmente classificazione e aggiornamenti rispetto alle vulnerabilità seguono percorsi differenti, ma la fonte e la natura del problema risulta essere la medesima.
La vulnerabilità che interessa i sistemi macOS (Monterey) è stata classificata come CVE-2022-22674 e viene corretta con la versione 12.3.1 appena rilasciata da
“Ransom” è un riscatto: subito pensiamo ad un reato estorsivo. Nessun brutto ceffo alla nostra porta, ma qualcosa di simile comunque può avvicinare, non tanto noi, quanto i nostri dati. Questa forma di estorsione infatti non è portata avanti minacciando la nostra incolumità, ma bensì quella delle nostre informazioni, ovvero delle informazioni che noi conserviamo nei nostri dispositivi IT. L’estorsione è realizzata mediante le forme tecnologiche del cyberspazio, ovvero attraverso un “emissario” in forma digitale, un software dalle intenzioni malevole, un “malware” che minaccia le nostre informazioni, la loro disponibilità. “Ransomware” è infatti un portmanteau dei termini “ransom” e “malware”.
Le forme di minaccia alla disponibilità delle informazioni può variare, ma è invalso l’uso che le minacce ransomware optino per una inibizione dell’accesso alle “nostre” informazioni mediante meccanismi crittografici, ossia metodi che trasformano la nostra informazione in un insieme di dati per noi non più intellegibili ma teoricamente ripristinabili allo stato originario, da cui
Non finiscono, anzi aumentano i guai per gli utenti del sistema di backup della taiwanese QNAP.
Abbiamo appena finito di parlare del bug derivante dal problema al Kernel Linux (Dirty Pipe), problema ancora non risolto nel mondo QNAP, che abbiamo un ulteriore guaio a completare il fosco quadro già reso tale da un continuo martellamento da parte di gruppi di minaccia ransomware sui dispositivi QNAP esposti (improvvidamente) su Internet dai loro proprietari.
Ci si mette ora anche (o meglio sarebbe dire “di nuovo”) la libreria OpenSSL.
Un problema nella libreria è presente in tutti i dispositivi NAS (Network-Attached Storage) di QNAP, e consente di ottenere una negazione di servizio (DoS) per l’innesco di un ciclo infinito all’interno degli algoritmi sviluppati da questa libreria.
Anche in
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